giovedì 5 luglio 2012

Michele Serra ne L'Amaca

In questa calda giornata d'inizio luglio, vogliamo proporvi una piccolissima selezione della rubrica che Michele Serra tiene quotidianamente su La Repubblica.


Perché a volte non ci vogliono tante parole per esprimere appieno dei concetti e per ispirare riflessioni nei propri lettori...

***
Ieri, lunedì 30 maggio 2011, verso le quattro del pomeriggio, sono finiti per sempre gli anni Ottanta italiani, il decennio più lungo della storia del mondo. 
È finita la politica del cerone e delle facce rifatte, delle convention, delle escort, 
delle olgettine, degli spot, della tivù dei telegatti e delle cerimonie di corte, 
dell' edonismo fintoallegro, dell' ignoranza caciarona spacciata per genuinità popolare (ingannando atrocemente il popolo). 
È finita la fiction. Quello che verrà dopo, non lo sappiamo. 
Ma sappiamo, finalmente, che un dopo esiste, e questo bastava, a Milano e altrove, per abbracciarsi con gli occhi pieni di benedette lacrime. 
Voglio dedicare questo giorno di felicità e di liberazione ai due o trecento ragazzini salariati che ho incontrato in piazza del Duomo al comizio di chiusura della Moratti: facevano pensare a una vecchia canzone di Gaber: "Non sanno se ridere o piangere, batton le mani". 
Il set che, di qui in poi, verrà inesorabilmente smontato era anche il loro set. Vorrei tanto che anche per loro cambiasse qualcosa. 
Io vengo da una famiglia di destra, e non era una destra così triste. Era una destra onesta, silenziosa, sobria, borghese. È stato un bel luogo dove crescere, e un bel luogo dal quale fuggire verso la mia vita. Quello che Berlusconi ha fatto alla destra italiana è spaventoso. Non gli potrà mai essere perdonato.  

***

Cantare in coro con i tifosi "Leonardo uomo di merda", come ha fatto uno degli uomini simboli del Milan e del calcio italiano, Rino Gattuso, fa parte dei festeggiamenti di uno scudetto? 
Il calcio italiano ne sta discutendo con la consueta ipocrisia (il presidente del Milan Galliani ha definito quel coro "una ragazzata") e comunque senza grandi possibilità di venirnea capo, avendo già disceso, e di parecchi gradini, la scala della decenza. 
La confusione-collusione tra curve ultras e calciatori è uno dei fenomeni degenerativi più gravi, e in fondo assomiglia molto alla confusione-collusione tra eletti ed elettori. 
Se fior di ministri usano lo stesso frasario di un ubriaco al bar e un calciatore intona gli stessi cori della teppa fanatica, vuol dire che il concetto stesso di "classe dirigente" è andato a farsi benedire. 
I calciatori che vanno a esultare solo sotto le curve (come se non pagassero il biglietto, e non gioissero con loro, anche gli altri settori dello stadio) sono pari ai demagoghi che ci governano. 
Non si sentono depositari di alcuna esemplarità, di alcun vincolo di stile e di sportività, vivono per l'applauso delle loro tribù e finiscono per somigliare ai peggiori buzzurri che funestano gli stadi. Si sa che diventare ricchi non equivale a diventare signori.
Ma la possibilità ci sarebbe, perfino per Gattuso: basterebbe sentire come parlava, e come si portava, circa cento secoli fa, un milanista molto più importante di lui, Gianni Rivera.

***

Avrei bisogno anche io di un «decreto interpretativo» che mi chiarisse, finalmente, perché ho sempre pagato le tasse. 
Perché passo con il verde e mi fermo con il rosso.
Perché pago di tasca mia viaggi, case, automobili, alberghi. 
Perché non ho un corista vaticano di fiducia che mi fornisca il listino aggiornato delle mignotte o dei mignotti. 
Perché se un tribunale mi convoca (ai giornalisti capita) non ho legittimi impedimenti da opporre. 
Perché pago un garage per metterci la macchina invece di lasciarla sul marciapiede in divieto di sosta come la metà dei miei vicini di casa. 
Perché considero ovvio rilasciare fattura se nei negozi devo insistere per avere la ricevuta fiscale. 
Perché devo spiegare a chi mi chiede sbalordito «ma le serve la ricevuta?» che non è che serva a me, serve alla legge. 
Perché non ho mai dovuto condonare un fico secco. 
Perché non ho mai avuto capitali all'estero. 
Perché non ho un sottobanco, non ho sottofondi, non ho sottintesi, e se mi intercettano il peggio che possono dire è che sparo cazzate al telefono. 
Io - insieme a qualche altro milione di italiani - sono l' incarnazione di un' anomalia. Rappresento l' inspiegabile. 
Dunque avrei bisogno di un decreto interpretativo ad personam che chiarisse perché sono così imbecille da credere ancora nelle leggi e nello Stato.

***

martedì 3 luglio 2012

Pasolini e il gioco del calcio



Oggi vogliamo proporvi una bella pagina dedicata al gioco del calcio scritta dal grande, grandissimo Pier Paolo Pasolini.




Il football è un sistema di segni, cioè un linguaggio. 


Esso ha tutte le caratteristiche fondamentali del linguaggio per eccellenza, quello che noi ci poniamo subito come termine di confronto, ossia il linguaggio scritto-parlato.
Infatti le «parole» del linguaggio del calcio si formano esattamente come le parole del linguaggio scritto-parlato. 
Ora, come si formano queste ultime? 
Esse si formano attraverso la cosiddetta «doppia articolazione» ossia attraverso le infinite combinazioni dei «fonemi»: che sono, in italiano, le 21 lettere dell’alfabeto.
I «fonemi» sono dunque le «unità minime» della lingua scritto-parlata. 
Vogliamo divertirci a definire l’unità minima della lingua del calcio? 
Ecco: «Un uomo che usa i piedi per calciare un pallone» è tale unità minima: tale «podema» (se vogliamo continuare a divertirci). Le infinite possibilità di combinazione dei «podemi» formano le «parole calcistiche»: e l’insieme delle «parole calcistiche» forma un discorso, regolato da vere e proprie norme sintattiche.
I «podemi» sono ventidue (circa, dunque, come i fonemi): le «parole calcistiche» sono potenzialmente infinite, perché infinite sono le possibilità di combinazione dei «podemi» (ossia, in pratica, dei passaggi del pallone tra giocatore e giocatore); la sintassi si esprime nella «partita», che è un vero e proprio discorso drammatico.
I cifratori di questo linguaggio sono i giocatori, noi, sugli spalti, siamo i decifratori: in comune dunque possediamo un codice.
Chi non conosce il codice del calcio non capisce il «significato» delle sue parole (i passaggi) né il senso del suo discorso (un insieme di passaggi).
Non sono né Roland Barthes né Greimas, ma da dilettante, se volessi, potrei scrivere un saggio ben più convincente di questo accenno, sulla «lingua del calcio». 
Penso, inoltre, che si potrebbe anche scrivere un bel saggio intitolato Propp applicato al calcio: perché, naturalmente, come ogni lingua, il calcio ha il suo momento puramente «strumentale» rigidamente e astrattamente regolato dal codice, e il suo momento «espressivo».

Ho detto infatti qui sopra come ogni lingua si articoli in varie sottolingue, in possesso ciascuna di un sottocodice.
Ebbene, anche per la lingua del calcio si possono fare distinzioni del genere: 

anche il calcio possiede dei sottocodici, dal momento in cui, 
da puramente strumentale, diventa espressivo. 


Ci può essere un calcio come linguaggio fondamentalmente prosastico e un calcio come linguaggio fondamentalmente poetico.

Per spiegarmi, darò – anticipando le conclusioni – alcuni esempi: Bulgarelli gioca un calcio in prosa: egli è un «prosatore realista»; Riva gioca un calcio in poesia: egli è un «poeta realista». 

Corso gioca un calcio in poesia, ma non è un «poeta realista»: è un poeta un po’ maudit, extravagante.

Rivera gioca un calcio in prosa: ma la sua è una prosa poetica, da «elzeviro».
Anche Mazzola è un elzevirista, che potrebbe scrivere sul «Corriere della Sera»: ma è più poeta di Rivera; ogni tanto egli interrompe la prosa, e inventa lì per lì due versi folgoranti.
Si noti bene che tra la prosa e la poesia non faccio distinzione di valore; la mia è una distinzione puramente tecnica.
Tuttavia intendiamoci: la letteratura italiana, specie recente, è la letteratura degli «elzeviri»: essi sono eleganti e al limite estetizzanti: il loro fondo è quasi sempre conservatore e un po’ provinciale… insomma, democristiano. 

Fra tutti i linguaggi che si parlano in un Paese, anche i più gergali e ostici, c’è un terreno comune: che è la «cultura» di quel Paese: la sua attualità storica. 


Così, proprio per ragioni di cultura e di storia, il calcio di alcuni popoli è fondamentalmente in prosa: prosa realistica o prosa estetizzante (quest’ultimo è il caso dell’Italia): mentre il calcio di altri popoli è fondamentalmente in poesia.


Ci sono nel calcio dei momenti che sono esclusivamente poetici: si tratta dei momenti del «goal». Ogni goal è sempre un’invenzione, è sempre una sovversione del codice: ogni goal è ineluttabilità, folgorazione, stupore, irreversibilità. Proprio come la parola poetica. Il capocannoniere di un campionato è sempre il miglior poeta dell’anno. In questo momento lo è Savoldi. 
Il calcio che esprime più goals è il calcio più poetico.
Anche il «dribbling» è di per sé poetico (anche se non «sempre» come l’azione del goal). 
Infatti il sogno di ogni giocatore (condiviso da ogni spettatore) è partire da metà campo, dribblare tutti e segnare. Se, entro i limiti consentiti, si può immaginare nel calcio una cosa sublime, è proprio questa. Ma non succede mai. 
Chi sono i migliori «dribblatori» del mondo e i migliori facitori di goals? I brasiliani. Dunque il loro calcio è un calcio di poesia: ed esso è infatti tutto impostato sul dribbling e sul goal.

Il catenaccio e la triangolazione (che Brera chiama geometria) è un calcio di prosa: 
esso è infatti basato sulla sintassi, ossia sul gioco collettivo e organizzato: cioè sull’esecuzione ragionata del codice. 
Il suo solo momento poetico è il contropiede, con l’annesso «goal» (che, come abbiamo visto, non può che essere poetico). 

Insomma, il momento poetico del calcio sembra essere (come sempre) il momento individualistico (dribbling e goal; o passaggio ispirato)..


Il calcio in prosa è quello del cosiddetto sistema (il calcio europeo).
Il suo schema è il seguente: Il «goal», in questo schema, è affidato alla «conclusione», possibilmente di un «poeta realistico» come Riva, ma deve derivare da una organizzazione di gioco collettivo, fondato da una serie di passaggi «geometrici» eseguiti secondo le regole del codice (Rivera in questo è perfetto: a Brera non piace perché si tratta di una perfezione un po’ estetizzante, e non realistica, come nei centrocampisti inglesi o tedeschi).


Il calcio in poesia è quello del calcio latino-americano: il suo schema è il seguente: 
Schema che per essere realizzato deve richiedere una capacità mostruosa di dribblare (cosa che in Europa è snobbata in nome della «prosa collettiva»): e il goal può essere inventato da chiunque e da qualunque posizione. Se dribbling e goal sono i momenti individualistici-poetici del calcio, ecco quindi che il calcio brasiliano è un calcio di poesia. 


Senza far distinzione di valore, ma in senso puramente tecnico, in Messico [Olimpiadi 1968] è stata la prosa estetizzante italiana a essere battuta dalla poesia brasiliana.

                                                                                                                                                                      PIER PAOLO PASOLINI




mercoledì 27 giugno 2012

Josef Koudelka - Per combattere la cecità


Quando vivi in un luogo a lungo diventi cieco perché non osservi più nulla. 
Io viaggio per non diventare cieco.
Josef Koudelka





I photograph only something that has to do with me, and I never did anything that I did not want to do. I do not do editorial and I never do advertising. 
No, my freedom is something I do not give away easily. 
Josef Koudelka



martedì 26 giugno 2012

Vladimir Nabokov - We so firmly believed

Nella mente della maggior parte delle persone, il nome di Vladimir Nabokov è subito associato all'idea di amore e di ossessione insana che ci ha magistralmente descritto nel suo capolavoro "Lolita".


Molte sono le curiosità che circondano lo scrittore russo. 
Tanto per iniziare, appartiene al quel gruppo di letterati che vivranno la loro esistenza in esilio dalla terra natia ma che sentiranno questa distanza obbligata come la pressione di un filo invisibile che li tira eternamente verso la Russia.
Nabokov nasce in una nobile famiglia e fin da piccolo parla correntemente il russo, l'inglese e il francese. Questo gli permette di poter diversificare la sua carriera, anzi di dividerla nettamente in due capitoli.
Il primo in cui scrive nella sua madrelingua e il secondo, che coincide con il trasferimento negli Stati Uniti, in cui adotta la lingua inglese come sua lingua di vita e scrittura. 
Appunto a questo periodo corrisponde la stesura di "Lolita", pubblicato nel 1955, di cui vi proponiamo l'incipit:

Lolita, light of my life, fire of my loins. My sin, my soul. Lo-lee-ta: 
the tip of the tongue taking a trip of three steps down the palate to tap, at three, on the teeth. 
Lo. Lee. Ta. She was Lo, plain Lo, in the morning, standing four feet ten in one sock. 
She was Lola in slacks. She was Dolly at school. She was Dolores on the dotted line. 
But in my arms she was always Lolita. 
Did she have a precursor? She did, indeed she did. In point of fact, 
there might have been no Lolita at all had I not loved, one summer, an initial girl-child. 
In a princedom by the sea. Oh when? 
About as many years before Lolita was born as my age was that summer. 
You can always count on a murderer for fancy prose style. 
Ladies and gentlemen of the jury, exhibit number one is what the seraphs,
 the misinformed, simple, noble-winged seraphs, envied. 
Look at this tangle of thorns.

Nabokov stesso sceglie di separare nettamente i due capitoli della sua carriera non solo cambiando lingua, ma dedicandosi un'ultima volta alla creazione di poesie in russo, pubblicate in seguito nella raccolta Poems and Problems
Eccovi allora una registrazione della sua poesia d'addio alla giovinezza, di chiusura di un capitolo e di benvenuto della nuova fase della sua esistenza.




We So Firmly Believed
We so firmly believed in the linkage of life,
but now I’ve looked back–and it is astonishing
to what a degree you, my youth,
seem in tints not mine, in traits not real.
If one probes it, it’s rather like a wave’s haze
between me and you, between shallow and sinking,
or else I see telegraph poles and you from the back
as right into the sunset you ride your half-racer.
You’ve long ceased to be I. You’re an outline–the hero
of any first chapter; yet how long we believed
that there was no break in the way from the damp dell
to the alpine heath.

domenica 24 giugno 2012

Ruth Belville, la donna che vendeva l'ora esatta

Ruth Belville è stata l'ultima esponente di una famiglia che dal 1836 fino al 1940 ha trasformato in business il potere di conoscere l'ora esatta.
Il padre di Ruth infatti, si recava tutte le mattine all'Osservatorio di Greenwich, dove sincronizzava il suo orologio con la GMT (Greenwich Mean Time), per poi visitare i suoi clienti per regolare i loro orologi sull'ora corretta.
Al tempo la possibilità di conoscere l'ora esatta non era affatto scontata, la costruzione di ferrovie stava rivoluzionando il concetto di tempo in Inghilterra, e non solo persone, ma intere città si trovarono a doversi "sincronizzare" sull'ora di Greenwich.
La confusione era tale che ci furono città che, non volendo abbandonare la loro ora "locale", installarono speciali orologi con due lancette dei minuti, una per l'ora locale, una per l'ora londinese, anche conosciuta come Railway Time.

Orologio della Corn Exchange di Bristol
Fu solo nel 1880 che il governo britannico riconobbe ufficialmente la GMT come fuso orario nazionale, e quando Ruth prese in mano la professione del padre nel 1892, era già fuori tempo massimo.


Sorprendentemente però, Ruth continuò a portare avanti il business fino al 1940, con gli orologiai come clienti più fedeli.


 Ché perder tempo a chi più sa più spiace

- Dante Alighieri - La Divina Commedia, Purgatorio, III, 78

sabato 23 giugno 2012

Igor Stravinsky e il concetto di patria

Cosa significa essere nati in un paese piuttosto che in un altro?
Cosa implica per una persona sapere di appartenere a una nazione con una cultura, una lingua e una storia definita?
Cos'è il sentimento di orgoglio nazionale che, in situazioni diverse, ognuno di noi ha sentito?

Noi de Il Segnalibro non abbiamo le risposte a queste domande, ma crediamo che le parole dette dal musicista russo Igor Stravinsky sulla sua patria, patria che rivede dopo cinquant'anni di esilio, possano essere fonte d'ispirazione per ciascuno di noi, per capire come relazionarci con la nostra nazione che purtroppo sentiamo sempre più distante e invisibile.

L'odore della terra russa è diverso, e queste sono cose che non si possono dimenticare...
Un uomo ha un solo luogo di nascita, una sola patria, 
un solo paese - può avere un solo paese -
e il suo luogo di nascita è il fattore più importante della sua vita.
Mi rammarico che le circostanze mi abbiamo separato dalla mia patria, 
di non aver prodotto qui le mie opere e, soprattutto, 
di non essere stato qui ad aiutare la nuova Unione Sovietica 
a creare la sua nuova musica. 
Non ho lasciato la Russia di mia volontà, 
anche se c'era molto che non mi piaceva nella mia Russia 
e nella Russia in genere. 
Ma il diritto di criticare la Russia è mio, 
perché la Russia è mia e perché io l'amo,
e non concedo questo diritto a nessuno straniero.

Per chiudere questa breve riflessione, vi lasciamo con un piccolo video di una delle opere più importanti del musicista, La Sagra della Primavera, coreografata dal genio indimenticabile di Pina Bausch.


giovedì 21 giugno 2012

A lezione di letteratura con Kurt Vonnegut

Oggi vi proponiamo una piccola e divertente lezione dello scrittore Kurt Vonnegut sulla semplice forma delle storie.

Sia il video che la trascrizione della lezione sono in inglese, quindi la lettura richiederà un po' di sforzo ma vi garantiamo che ne vale la pena!


I want to share with you something I’ve learned. 
I’ll draw it on the blackboard behind me so you can follow more easily. This is the G-I axis: good fortune-ill fortune. Death and terrible poverty, sickness down here—great prosperity, wonderful health up there. Your average state of affairs here in the middle.
This is the B-E axis. B for beginning, E for entropy. Okay. Not every story has that very simple, very pretty shape that even a computer can understand. 
Now let me give you a marketing tip. The people who can afford to buy books and magazines and go to the movies don’t like to hear about people who are poor or sick, so start your story up here. You will see this story over and over again. People love it, and it is not copyrighted. The story is “Man in Hole,” but the story needn’t be about a man or a hole. It’s: somebody gets into trouble, gets out of it again. It is not accidental that the line ends up higher than where it began. This is encouraging to readers.

Another is called “Boy Meets Girl,” but this needn’t be about a boy meeting a girl. It’s: somebody, an ordinary person, on a day like any other day, comes across something perfectly wonderful: “Oh boy, this is my lucky day!” ... “Shit!” … And gets back up again.

Now, I don’t mean to intimidate you, but after being a chemist as an undergraduate at Cornell, after the war I went to the University of Chicago and studied anthropology, and eventually I took a masters degree in that field. Saul Bellow was in that same department, and neither one of us ever made a field trip. Although we certainly imagined some. I started going to the library in search of reports about ethnographers, preachers, and explorers—those imperialists—to find out what sorts of stories they’d collected from primitive people. It was a big mistake for me to take a degree in anthropology anyway, because I can’t stand primitive people—they’re so stupid. But anyway, I read these stories, one after another, collected from primitive people all over the world, and they were dead level, like the B-E axis here. So all right. Primitive people deserve to lose with their lousy stories. They really are backward. Look at the wonderful rise and fall of our stories.
One of the most popular stories ever told starts down here . Who is this person who’s despondent? She’s a girl of about fifteen or sixteen whose mother had died, so why wouldn’t she be low? And her father got married almost immediately to a terrible battle-axe with two mean daughters. 
You’ve heard it?
There’s to be a party at the palace. She has to help her two stepsisters and her dreadful stepmother get ready to go, but she herself has to stay home. Is she even sadder now? No, she’s already a broken-hearted little girl. The death of her mother is enough. Things can’t get any worse than that. So okay, they all leave for the party. Her fairy godmother shows up, gives her pantyhose, mascara, and a means of transportation to get to the party.
And when she shows up she’s the belle of the ball . She is so heavily made up that her relatives don’t even recognize her. Then the clock strikes twelve, as promised, and it’s all taken away again. It doesn’t take long for a clock to strike twelve times, so she drops down. Does she drop down to the same level? Hell, no. No matter what happens after that she’ll remember when the prince was in love with her and she was the belle of the ball. So she poops along, at her considerably improved level, no matter what, and the shoe fits, and she becomes off-scale happy.

Now there’s a Franz Kafka story. A young man is rather unattractive and not very personable. He has disagreeable relatives and has had a lot of jobs with no chance of promotion. He doesn’t get paid enough to take his girl dancing or to go to the beer hall to have a beer with a friend. One morning he wakes up, it’s time to go to work again, and he has turned into a cockroach.
It’s a pessimistic story.

The question is, does this system I’ve devised help us in the evaluation of literature? Perhaps a real masterpiece cannot be crucified on a cross of this design. 
How about Hamlet? It’s a pretty good piece of work I’d say. Is anybody going to argue that it isn’t? 
I don’t have to draw a new line, because Hamlet’s situation is the same as Cinderella’s, except that the sexes are reversed.
His father has just died. He’s despondent. And right away his mother went and married his uncle, who’s a bastard. So Hamlet is going along on the same level as Cinderella when his friend Horatio comes up to him and says, “Hamlet, listen, there’s this thing up in the parapet, I think maybe you’d better talk to it. It’s your dad.” So Hamlet goes up and talks to this, you know, fairly substantial apparition there. And this thing says, “I’m your father, I was murdered, you gotta avenge me, it was your uncle did it, here’s how.”
Well, was this good news or bad news? To this day we don’t know if that ghost was really Hamlet’s father. If you have messed around with Ouija boards, you know there are malicious spirits floating around, liable to tell you anything, and you shouldn’t believe them. Madame Blavatsky, who knew more about the spirit world than anybody else, said you are a fool to take any apparition seriously, because they are often malicious and they are frequently the souls of people who were murdered, were suicides, or were terribly cheated in life in one way or another, and they are out for revenge.
So we don’t know whether this thing was really Hamlet’s father or if it was good news or bad news. And neither does Hamlet. But he says okay, I got a way to check this out. I’ll hire actors to act out the way the ghost said my father was murdered by my uncle, and I’ll put on this show and see what my uncle makes of it. So he puts on this show. And it’s not like Perry Mason. His uncle doesn’t go crazy and say, “I-I-you got me, you got me, I did it, I did it.” It flops. Neither good news nor bad news. After this flop Hamlet ends up talking with his mother when the drapes move, so he thinks his uncle is back there and he says, “All right, I am so sick of being so damn indecisive,” and he sticks his rapier through the drapery. Well, who falls out? This windbag, Polonius. This Rush Limbaugh. And Shakespeare regards him as a fool and quite disposable.
You know, dumb parents think that the advice that Polonius gave to his kids when they were going away was what parents should always tell their kids, and it’s the dumbest possible advice, and Shakespeare even thought it was hilarious.
“Neither a borrower nor a lender be.” But what else is life but endless lending and borrowing, give and take?
“This above all, to thine own self be true.” Be an egomaniac!
Neither good news nor bad news. Hamlet didn’t get arrested. He’s prince. He can kill anybody he wants. So he goes along, and finally he gets in a duel, and he’s killed. Well, did he go to heaven or did he go to hell? Quite a difference. Cinderella or Kafka’s cockroach? I don’t think Shakespeare believed in a heaven or hell any more than I do. And so we don’t know whether it’s good news or bad news.
I have just demonstrated to you that Shakespeare was as poor a storyteller as any Arapaho.

But there’s a reason we recognize Hamlet as a masterpiece: it’s that Shakespeare told us the truth, and people so rarely tell us the truth in this rise and fall here.
 The truth is, we know so little about life, we don’t really know what the good news is and what the bad news is.

And if I die—God forbid—I would like to go to heaven to ask somebody in charge up there, “Hey, what was the good news and what was the bad news?”

mercoledì 20 giugno 2012

God Save Elton John

Semplicemente, kitchissimamente FANTASTICO!





Elton John - Crocodile  Rock  (1972)

lunedì 18 giugno 2012

Mike Mills, una mente sola per molti talenti

Come si può notare leggendo i post pubblicati fino ad ora, quello che ci affascina di più del mondo del "sapere" è il felice momento in cui più talenti si uniscono in un'unica persona creando un artista a tutto tondo.
Sicuramente Mike Mills rientra in questa categoria.
Regista cinematografico, creatore di video musicali, graphic designer. 
In tutti i suoi lavori riesce a inserire un tocco personale, una poetica tutta sua, che lo distingue e crea un filo conduttore che gli spettatori riescono facilmente a riconoscere.
Ma più che descrivervi a parole, crediamo che l'osservazione dei suoi lavori possa esprimere al meglio il talento originale ed eclettico del nostro artista.
Partiamo dalla musica.
Sono molti gli artisti che collaborano con Mills per le copertine dei loro album, ad esempio The Beastie Boys e Air.





Alcuni artisti invece si affidano a lui per la creazione di un video musicale, come ad esempio il gruppo Blonde Redhead per la canzone Top Ranking.


Ma, come ogni artista che si rispetti, Mills si dedica anche a progetti interamente suoi, soprattuto nell'ambito del cinema indipendente.
Ecco allora che ci regala due film deliziosi.
L'opera prima è Thumbsucker, ovvero il Succhia Pollice.


Ma il successo più grande l'ottiene nel 2010 con l'uscita del suo secondo film, The beginners.
Il film trae spunto da una sua vicenda personale, cioè il coming out del padre che, ha 75 anni e dopo 44 anni di matrimonio con la moglie, rivela al figlio la sua omosessualità.
Notare che l'interpretazione del padre data da Christopher Plummer gli farà vincere l'oscar come miglior attore.


Oltre a tutto questo, per non rischiare di annoiarsi, Mills ha lanciato una linea di poster, magliette e vestiti dal nome Humans by Mike Mills.

La domanda però sorge spontanea: Mike, non sei mai stanco?!

domenica 17 giugno 2012

L'Ulisse di Stephen Fry


L'Ulisse di James Joyce è considerato una pietra miliare della letteratura moderna. Scritto in una varietà di stili diversi, pieno di allusioni e ricco di umorismo, il romanzo non sottolinea l'importanza degli eventi che si svolgono durante la giornata ma piuttosto la vita interiore dei personaggi, che viene rappresentata attraverso la tecnica narrativa del "flusso di coscienza", permettendo al lettore di trovarsi dentro le menti dei protagonisti e sentire i loro desideri, i loro bisogni, le loro gioie e paure.


Forse però non tutti sanno che ieri, il 16 giugno 2012, era il centottavo anniversario della famosa "giornata" in cui si svolge l'avventura descritta nel libro.
Infatti questo romanzo narra dell'intrecciarsi delle vite di varie persone per una singola giornata, il 16 giugno 1904.
Per festeggiare questa ricorrenza vogliamo proporvi l'opinione di un nostro idolo, Stephen Fry, che dichiara che questo sia proprio il suo libro preferito.


Soffermiamoci un momento su Stephen Fry. La maggior parte di noi conosceranno L'Ulisse di Joyce anche senza averlo letto (leggetelo!).. Ma a noi interessano anche le cose un po' particolari e magari meno conosciute, beh perlomeno in Italia, perchè in Inghilterra il nostro Fry è considerato poco meno di un tesoro nazionale vivente.

Stephen Fry è certamente un fenomeno, che può vantarsi ad oggi di aver vissuto una vita varia e memorabile, lavorando come scrittore, comico, attore, doppiatore, sceneggiatore, autore televisivo e regista. Se volete saperne di più potete leggere la sua biografia, o meglio, una delle sue biografie (Moab Is My Washpot e The Fry Chronicles)!
Ma ciò che veramente vogliamo presentare di questa persona, è la varietà dei suoi talenti, il suo candore, il suo senso dell'umorismo, ma soprattutto la sua straordinaria intelligenza.


La voce di Fry trasmette un senso di calma e saggezza, il suo uso superiore della lingua inglese lo porta ad esprimere i suoi ragionamenti senza sforzo, ed in modo scorrevole.
Piuttosto che continuare a parlare di lui, vogliamo condividere qualche estratto della sua carriera, sperando che anche voi possiate essere sedotti dal carisma di questa persona.